Verde contro inquinamento: il caso di Genova
Oltre a raffrescare, alberi e arbusti catturano con le loro foglie una quantità non indifferente di inquinanti. Polveri in primo luogo, ma, anche se in forma meno visibile, ossidi di azoto, di zolfo, metalli, e altro, risparmiando almeno in parte i nostri polmoni. Gli alberi, gli arbusti, e tutte le piante in genere, fanno questo mestiere in misura diversa, in relazione soprattutto alla superficie delle foglie in rapporto al volume della pianta, alla presenza di cere, alla rugosità e ad altri fattori. A Genova c’è un laboratorio che studia proprio questo, come le diverse specie catturano polveri e veleni nell’aria, ovvero quell’insieme di particelle e specie chimiche che dalle navi in manovra nel porto, così come dai TIR, auto e dalle diverse fonti dentro e fuori l’area portuale si spandono nell’aria cittadina. Per il progetto SALPIAM, il laboratorio di Botanica Ambientale Applicata del DISTAV di Genova coordinato da Enrica Roccotiello e quello del Laboratorio di Fisica Applicata all’Ambiente di Paolo Prati, hanno un compito chiaro: studiare la diversa capacità delle piante di catturare questi inquinanti, per poi stilare una mappa cittadina del verde con le diverse potenzialità di assorbimento, e infine stilare raccomandazioni per potenziare il verde urbano nella sua funzione di filtro, soprattutto in relazione alle emissioni del porto cittadino.

Il team del laboratorio di Botanica Ambientale e Applicata ha cominciato a studiare campioni di piante di alcune zone di Genova. Le prime aree oggetto di campionamento circondano l’area del porto antico, dalla zona della Lanterna a Ponente all’Acquasola e corso Buenos Aires a Levante, meno interessate dalle emissioni portuali.
Le aree prescelte hanno il vantaggio di avere centraline di rilevamento degli inquinanti di Arpa Liguria, che consentiva di conoscere l’esposizione delle piante. Per ciascuna specie sono state quindi prelevate dieci foglie in maniera casuale e all’altezza delle prime vie aree, che sono state esaminate con diversi strumenti, fino al microscopio elettronico a scansione.

I campioni delle diverse specie vengono quindi preparati per la microscopia e incollati su piccoli bottoni di alluminio rivestiti di carbonio, dopodiché vengono ricoperti di grafite per renderli conduttivi al flusso di elettroni che ne svelerà l’orditura di micropolveri, le quali con appositi software verranno contate e misurate nelle loro dimensioni.


Già così è quindi possibile ottenere una stima delle quantità e dei calibri delle particelle inquinanti che si depositano sulle foglie delle diverse specie vegetali, al netto dalle esposizioni agli inquinanti registrati dalle centraline ARPAL nei diversi luoghi di raccolta. In questo modo si può conoscere per ogni specie il diverso profilo di captazione del particolato atmosferico in base alle sue dimensioni. E come si può osservare in figura, questo dà luogo a un vero e proprio repertorio di specie, alcune delle quali più adatte, per le caratteristiche chimico-fisiche delle loro foglie (per esempio la presenza di cera sulla loro superficie) a ritenere sulla superficie le particelle più fini o più grossolane. Fra queste svettano mirto e oleandro probabilmente a causa della particolare composizione chimica delle loro foglie e della loro struttura generale, ma anche il limone e il pino, che trattengono soprattutto le polveri fini, al contrario della magnolia, del viburno e del pitosforo, decisamente più versatili. Va detto però che le polveri fini e ultrafini, vale a dire sotto i 2,5 micrometri di diametro sono certamente più pericolose per la salute perché più capaci di penetrare in profondità nei polmoni e, in seguito, nell’organismo.
Questi studi iniziali, già così suggestivi, hanno avuto una buona conferma in laboratorio. Il passo successivo della ricerca ha previsto l’inserimento di piante intere all’interno di una camera di simulazione atmosferica, una delle infrastrutture di punta a livello europeo – situata presso i Laboratori del Dipartimento di Fisica (DIFI) dell’Università di Genova. Questa ChAMBRe (Chamber for Aerosol Modelling and Bioaerosol Research), progettata per ricreare in modo controllato le condizioni atmosferiche reali (in termini di gas, aerosol, luce solare, temperatura e umidità), rappresenta un unicum nel panorama italiano. Le sue componenti sono state acquisite grazie alla collaborazione con l’INFN e altri enti di ricerca nazionali, mentre l’assemblaggio e il collaudo finale sono stati curati dai tecnici del DIFI. Oggi, questa infrastruttura appartiene ad una rete di facility di ricerca europee, offrendo un’opportunità avanzata per lo studio sperimentale dell’interazione tra piante e atmosfera, come ci spiega Dario Massabò (DIFI). Mentre di solito si inseriscono nel dispositivo campioni di modesta grandezza come, ad esempio, colture batteriche, nel caso di questo studio intere piante sono state ospitate all’interno della ChAMBRe.
Quindi per la durata di 24 ore ciascuna delle specie in esame (tasso, mirto e oleandro) si è trovata a convivere prima con 200 parti per miliardo di ossidi di azoto (NOX), quindi per altre 24 ore con 50 microgrammi su metro cubo di black carbon (particella di carbonio ultrasottile e molto tossica prodotta dai motori), e per un’altra giornata con una megaconcentrazione di sabbie desertiche dell’Arizona, usate in questi casi dai ricercatori per simulare le polveri grossolane, in particolare PM10. Da notare che tutte queste scelte rappresentano i valori limite orari per i singoli inquinanti testati. Infine, per 24 ore con un mix di tutti questi inquinanti in ChAMBRe. In sostanza, una camera a gas. Per rendere più realistico il comportamento delle piante in queste condizioni estreme, le 24 ore sono state scandite in notte e giorno, con l’irraggiamento di luce solare riprodotta da un apparato che sormonta la ChAMBRe.

I risultati di ChAMBRe hanno sostanzialmente confermato le analisi al microscopio elettronico a scansione dei campioni prelevati sul campo, cosa non così scontata. Inoltre, grazie al simulatore atmosferico è stato possibile osservare anche quanto le piante riescono ad assorbire il biossido d’azoto attraverso la formazione di una pletora di legami chimici. Ma anche a testare la straordinaria resistenza di queste specie ad altissime concentrazioni di inquinanti.
Una domanda che sorge spontanea è infatti capire se le foglie delle piante arrivino a saturazione a forza di trattenere inquinanti. È esperienza comune, infatti, vedere come nelle zone più inquinate delle città alcune piante assumano un aspetto grigio e crostoso che non depone a favore della loro salute. Nessuno sa per certo fino a che punto le piante siano in grado di metabolizzare lo smog – spiega Roccotiello. È noto, ad esempio, che una parte del biossido di azoto emesso dai veicoli a motore viene assorbita dalle piante, che lo utilizzano come fonte di azoto, un elemento essenziale per la loro crescita. C’è da dire però che alberi e arbusti vengono probabilmente “salvati” dal naturale avvicendamento delle foglie, continuo nelle sempreverdi e stagionale nelle decidue. Resta da dimostrare se sia questo ciclo quello che consente di rinnovare o meno la capacità di assorbimento degli inquinanti atmosferici da parte del verde.

Ma quanto inquinamento può essere stoppato da filari alberati, siepi, parchi e giardini? Anche su questo si hanno poche evidenze, si potrebbe però immaginare anche fino a un terzo di polveri e altri inquinanti presenti nell’aria. Se così fosse il verde potrebbe in effetti diventare – anche alla luce dei risultati di questo studio – uno strumento straordinario di rimozione degli inquinanti.
Fra non molto, questa ricerca condotta nell’ambito del progetto SALPIAM potrà offrire una mappa del verde della città di Genova che illustra con un codice colore il potenziale antismog delle diverse specie arboree georeferenziate nella città realizzato dai ricercatori UniGe.

In base a questa heatmap sarà quindi possibile posizionare strategicamente altre specie in base alle caratteristiche dell’inquinamento locale e i pattern di dispersione atmosferica dei diversi inquinanti. Recentemente i ricercatori di ISPRA guidati da Giorgio Cattani hanno posizionato insieme ai tecnici di Arpa Liguria altre centraline sul territorio genovese, in modo da aumentare i punti di monitoraggio della qualità dell’aria per diversi inquinanti comuni e non (come i metalli) lungo tutto lo sviluppo portuale, fino alla zona rinfuse liquide e petrolifera fino a Voltri.
L’obiettivo di SALPIAM è studiare l’impatto ambientale e sanitario dei porti e porvi rimedio, anche se è virtualmente impossibile, al di là del tracciamento di alcuni inquinanti-spia dell’attività marittima come biossido di zolfo o metalli come il Vanadio e il Nichel, scindere nettamente la componente portuale da quella cittadina, almeno nel caso di Genova, dove buona parte del traffico scorre sulla sopraelevata, insistendo sulla stessa area decisamente poco attrezzata a verde, in particolare il centro storico. Per questo alberi e arbusti, nella loro triplice funzione di immagazzinatori di CO2, di naturali elementi di raffrescamento e di mitigazione degli estremi termici contro le ondate di calore e di captatori di inquinanti, avranno un ruolo importante nello sviluppo futuro di Genova, anche grazie alle linee guida che emergeranno da questo filone di ricerca.
Gruppo di Ricerca UniGe
Referente: Enrica Roccotiello
Laboratorio di Botanica Ambientale Applicata – Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e della Vita (DISTAV). Resp. E. Roccotiello
Laboratorio di Fisica Applicata all’Ambiente – Dipartimento di Fisica (DIFI). Resp. P. Prati
Gruppo di ricerca: E. Roccotiello (DISTAV), P. Prati (DIFI), M. Bosio (DISTAV), E. Sanguineti (DISTAV), L. Negretti (DISTAV), F. Mazzei (DIFI), D. Massabò (DIFI), M. Brunoldi (DIFI), V. Vernocchi (DIFI), F. Parodi (DIFI), con la partecipazione di ARPAL (U.O. Qualità dell’Aria).